La malattia di Alzheimer è la patologia neurodegenerativa più frequente nella popolazione italiana. Si calcola che non meno di 500.000 persone ne siano affette in Italia in questo momento. La malattia è età correlata: ciò, significa che la prevalenza (percentuale di casi sulla popolazione generale) e l’incidenza (percentuale persone che si ammalano ogni anno) crescono con l’aumentare dell’età media della popolazione. L’Italia è un paese che invecchia, ed è pertanto verosimile che quel mezzo milione di persone affette da Alzheimer possano quasi raddoppiare entro la metà del secolo.
Nell’Alzheimer in esordio il principale disturbo riferito è quello di memoria. Il disturbo inizia in maniera insidiosa, non precisamente databile, e tende lentamente a peggiorare. Occorre tener presente che non è compromessa la memoria globalmente intesa, anche perché, come spiegheremo meglio più avanti, non esiste un’unica memoria. La memoria che è compromessa nel paziente Alzheimer in esordio è quella “episodica”, che rappresenta un tipo particolare di memoria “a lungo termine” e “dichiarativa”.
Le varie memorie non sono simultaneamente colpite durante la malattia. Il demente in esordio infatti non presenta, al contrario di quanto impropriamente dicono molti medici (anche addetti ai lavori) un disturbo della memoria a breve termine. Ciò è testimoniato dal fatto che egli è di solito capace di ripetere una serie di numeri con una accuratezza che non si discosta significativamente da quella degli anziani normali comparabili per scolarità. Analogamente, un paziente con Alzheimer iniziale non presenta, se non in casi rari, alterazioni franche della memoria semantica.
Ciò che caratterizza il paziente con Alzheimer iniziale è essenzialmente un deficit della memoria episodica, e tale deficit ha caratteristiche di amnesia anterograda, intendendo con questo termine la difficoltà a memorizzare eventi successivi all’esordio della malattia, mantenendo relativamente integra la capacità di richiamare alla mente eventi antecedenti l’inizio della malattia stessa. Ciò può rendere conto del fatto che gli eventi remoti vengono ricordati meglio di quelli recenti, cosa che di solito colpisce molto i familiari del paziente.
La diagnosi di malattia di Alzheimer nella fasi iniziali è difficile: è complesso individuare i segni clinici che ne rappresentano l’esordio e discriminarli da forme “benigne” di disturbi di memoria legate all’età o ad altre cause, alcune reversibili. È altrettanto impegnativo individuare precocemente altre forme di demenza e differenziarle dalla malattia di Alzheimer (MA).
Solo l’unione degli strumenti clinici, neuropsicologici, di laboratorio e di neuroimaging consente di formulare una diagnosi il più vicina possibile al vero.
I metodi di neuroimaging sono strumenti di indagine anatomica e funzionale e permettono lo studio delle modificazioni in vivo dell’encefalo. Queste metodologie studiano le condizioni “fisiologiche” e “patologiche” dell’encefalo e ci forniscono delle immagini di grande utilità nel percorso diagnostico della demenza. Le indagini di neuroimaging vengono considerate, però, procedure di “supporto” alla diagnosi, insieme all’esame clinico e neuropsicologico.
I metodi di indagine anatomica
In genere il primo esame che viene richiesto è una tomografia computerizzata (TC) o una risonanza magnetica (RM) dell’encefalo. Nella maggior parte dei casi, questi esami sono “negativi”, cioè non mostrano lesioni “patologiche”. In realtà sono considerati “semplicemente” negativi perché non mostrano lesioni vascolari (ictus, emorragie cerebrali), tumori cerebrali (tumori del cervello o delle meningi ecc.), ematomi subdurali, idrocefalo (una complessa alterazione della pressione di un liquido che normalmente si trova nell’encefalo). Tutte queste lesioni, infatti, possono dare disturbi cognitivi, quindi anche demenza, ma sicuramente non sono causa di MA. Quindi la TAC o la RM dell’encefalo di una persona con un sospetto di MA è normale: per così dire “negativa”. Tuttavia, sostenere ancora oggi la semplicistica affermazione, che la TAC e la RM siano utili solo ad escludere cause differenti di demenza, sminuisce l’immenso lavoro prodotto dai neuroradiologi negli ultimi vent’anni. Sicuramente questi mezzi di indagine non fanno la diagnosi di MA, ma TC e RM in mani esperte raccontano molto di più dei laconici referti che spesso vediamo.
Oltre a contribuire alla diagnosi della MA, gli esami di neuroimaging sono importanti per differenziale le varie forme di demenza, prima fra tutte quella vascolare. Le immagini TAC sono un ottimo strumento, per dimostrare la presenza di “danni vascolari” cerebrali. La presenza contemporanea di un quadro clinico ed anamnestico tipico, un punteggio elevato a scale che valutano rischi e “danni vascolari”, quale quella di Hachinski ed immagini di lesioni infartuali alla TAC orienta la diagnosi verso una demenza vascolare.
A cura di Alessandro Iavarone* e Alfredo Postigione**.
*ASL Napoli 1, Ospedale CTO, U.O.C. di Neurologia;
**Professore Ordinario, Primario di Medicina Geriatrica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II.