La Malattia di Alzheimer (AD) è la forma più comune di demenza. E’ una malattia neurodegenerativa età correlata. Ciò vuol dire che il rischio di insorgenza aumenta con l’aumentare dell’età. Colpisce prevalentemente il genere femminile, data la più elevata aspettativa di vita. Essa comporta un deterioramento cognitivo cronico progressivo che esordisce, nella forma classica, con disturbi di memoria episodica per eventi recenti. Può capitare, infatti, che la persona abbia difficoltà ad immagazzinare nuove informazioni e a ricordare fatti accaduti poco tempo fa e ciò tende ad aggravarsi con il passare del tempo
MANIFESTAZIONE DEI SINTOMI
L’esordio della malattia è insidioso, si parla infatti di un’epidemia silente, che si manifesta con disturbi di memoria episodica per eventi recenti, spesso associati
alla comparsa di sintomi quali: depressione, ritiro sociale, appiattimento affettivo, calo degli interessi, trascuratezza della persona, idee deliranti spesso di tipo persecutorio o di riferimento, ansia. La memoria a Breve Termine, strumento di lavoro necessario per apprendere nuove informazioni e recuperare tracce mnesiche, viene meno creando disagio e stati d’ansia continui e rilevanti, all’individuo e ai suoi familiari. La memoria Episodica, che contiene informazioni inerenti episodi o eventi e le loro relazioni spazio-temporali, è la prima a cadere, insieme ai mille episodi che hanno costituito l’identità della persona che si sgretolano gradualmente, facendo posto all’insicurezza e alla titubanza. La memoria Semantica, patrimonio di conoscenze generali quali parole, simboli, regole, formule, e la memoria Procedurale (memoria inconscia di azioni o movimenti precedentemente appresi, come ad es. l’andare in bicicletta) si conservano inizialmente perdendosi anch’esse con il progredire della malattia. Il disturbo di memoria del paziente Alzheimer è caratterizzato da un esordio insidioso ed un andamento lentamente ingravescente, vale a dire che comincia piano piano e lentamente peggiora. Bisogna dunque dubitare di trovarsi di fronte ad una malattia di Alzheimer tutte quelle volte in cui è possibile far risalire l’inizio di un disturbo di memoria ad un giorno, ad una settimana, o anche ad un mese preciso e comunque, il disturbo di memoria è condizione necessaria ma non sufficiente a definire la demenza in quanto tale.
Devono pertanto riscontrarsi deficit a carico di altre funzioni cognitive
quali le fasie, le prassie, le gnosie, l’esecutivo. I disturbi a carico di tali funzioni daranno luogo alle seguenti sindromi definite tecnicamente: afasia
(disturbo di linguaggio), aprassia (disturbo del movimento non riconducibile a deficit di forza o di coordinazione), agnosia (disturbi del riconoscimento degli stimoli in assenza di deficit a carico degli organi e sistemi di senso), sindrome
disesecutiva (disturbi a carico delle abilità di astrazione, concettualizzazione, pianificazione del comportamento, flessibilità mentale, etc
Nelle fasi iniziali di malattia tali disturbi sono raramente tutti presenti, e quando lo sono, si manifestano talora in maniera abbastanza lieve da poter essere evidenziati solo con un attento esame clinico o meglio ancora con l’aiuto dei test cognitivi.
In ogni caso la presenza di una condizione di deficit cognitivi multipli non è sufficiente a definire l’esistenza di una demenza. Infatti, i deficit devono essere di entità tale da interferire con il funzionamento. La persona cioè deve manifestare, a causa di tali deficit, una perdita di efficienza sul piano lavorativo, sociale, e delle attività della vita quotidiana
SINTOMI
- Possiamo rappresentare i principali sintomi di probabile demenza cosi come segue:
- perdita di memoria inizialmente quella episodica poi anche quella semantica e procedurale
- difficoltà attentivo-esecutive nell’esecuzione di normali attività quotidiane e nello svolgimento di compiti complessi o simultanei con conseguente perdita dell’autonomia.
- disturbi/impoverimento del linguaggio: difficoltà nelle conversazioni e nel reperire parole)
- disorientamento spazio-temporale (tendenza a smarrirsi specie in ambienti extra-abitativi)
- disturbi extra cognitivi o comportamentali (apatia, isolamento, agitazione, deliri e allucinazioni) spesso nelle fasi avanzate
- Altri Aumentano i disturbi del sonno, depressione, cambiamento di umore e di personalità…
Relativamente ai disturbi extra-cognitivi la depressione del tono dell’umore è di frequente risconto in corso di Alzheimer,in quanto non meno di un terzo dei pazienti sembra ne sia affetto, anche se la depressione nel paziente anziano puòdecorrere con disturbi delle funzioni cognitive che possono mimare un quadro demenziale (pseudo- demenza depressiva) e lo stesso paziente pseudodemente tende a sovrastimare i propri disturbi cognitivi molto più di quanto questi non risultino evidenti ad un esame neuropsicologico.
In caso di dubbi solo una rivalutazione successiva ad una terapia antidepressiva permetterà di dirimerli: se i disturbi cognitivi regrediscono con la depressione, allora era pseudodemenza, viceversa ci si trova di fronte ad una demenza autentica.
Dobbiamo, ancora, aggiungere che in alcuni casi il paziente con Alzheimer iniziale può presentare un disturbo della consapevolezza dei propri deficit cognitivi, definito anosognosia che costituisce un elemento di allarme aggiuntivo per il familiare, sia per la valenza di sospetto in senso diagnostico, che per le potenziali implicazioni in termini di ricadute sulfunzionamento.
MCI
Prima di passare a fasi succcessive a quelle iniziali bisogna, infine, fare un breve cenno ad un disturbo cui è statadedicata, negli ultimi anni, una notevole attenzione in ambito clinico e scientifico; tale disturbo è il Mild CognitiveImpairment amnestic o MCI (in Italiano, disturbo cognitivo lieve amnesico). La persona con MCI amnesico riferiscesoggettivamente (e ciò è testimoniato anche dal familiare o dal suo medico) un declino della memoria, che risulta confermato ai test cognitivi.
A differenza del paziente con Alzheimer in atto, tuttavia, non si riscontrano disturbi a carico di altre funzioni cognitive aldi fuori della memoria, né è presente un significativo impatto sul funzionamento; pertanto, per definizione, non siconfigura una demenza. L’MCI amnesico è da molti considerato la “fase preclinica” dell’Alzheimer. Ciò troverebbe conferma nel fatto che, a due anni dalla prima diagnosi di MCI amnesico, circa il 40% dei pazienti sviluppa una malattia di Alzheimer. Il nostro parere al riguardo è un po’ meno catastrofico. In effetti, più che un destino ineluttabile, l’MCI amnesico dovrebbe essere considerato alla stregua di un fattore di rischio (anche se molto pesante) per malattia di Alzheimer. In effetti, dati italiani recentissimi sembrano dimostrare che, sempre a due anni dalla prima diagnosi, il 37% dei pazienti con MCI amnesico rimane stabile, ed il 30% va addirittura incontro ad una normalizzazione del profilocognitivo.
SVILUPPO
La Persona, pian piano, tende a non riconoscere più il proprio ambiente di vita, i loro cari, è forte il disorientamento temporo-spaziale, non ricorda più cosa ha fatto anche pochi istanti prima rischiando talvolta di diventare pericoloso per se e per gli altri. Infatti, molto spesso queste Persone dimenticano il gas acceso, non distinguono una porta da un balcone, non riescono più a tornare a casa…Molti si perdono…e una sensazione di solitudine e di abbandono li pervade, spingendoli ad individuare nella Persona a loro più cara, l’unico punto di riferimento che diventa poi il caregiver principale, la seconda vittima di questa Malattia. Nelle fasi più avanzate si può andare incontro a significative difficoltà nel programmare la corretta sequenza motoria di gesti ed attività; la persona potrebbe non sapere quale sia la funzionalità di oggetti che sta utilizzando, così come potrebbe mostrare difficoltà nel riconoscerli. Il linguaggio diventa sempre più compromesso, fino alla comparsa di un eloquio incomprensibile, o addirittura all’assenza dello stesso e contestualmente potrebbe mostrare rilevanti difficoltà di comprensione. Al di là dei sintomi cognitivi possono presentarsi anche disturbi comportamentali che si tenta erroneamente , quasi sempre, di controllare unicamente o in prima istanza con antipsicotici, (a cui si deve ricorrere in extrema ratio)
Si possono, infatti, manifestare ulteriori alterazioni comportamentali quali: deambulazione compulsiva (il girovagare ininterrottamente senza una meta) o l’affaccendamento afinalistico (compiere ripetute azioni, anche complesse, senza avere una finalità ben precisa). Possono altresì comparire disturbi del sonno ed inversione dei ritmi sonno-veglia, così come disturbi alimentari ed iperoralità o anoressia. Tali comportamenti il più delle volte possono essere contenuti con la presenza di Persone esperte e qualificate, in grado di stabilire con loro la giusta modalità di approccio e di comunicazione..
FASI
Possiamo individuare le seguenti principali fasi:
fase iniziale: In cui si può rilevare un disturbo di memoria con difficoltà a ricordare gli eventi recenti, a trovare le parole per esprimersi e scarsa capacità di iniziativa talvolta associati alla comparsa di sintomi quali: lieve disorientamento
temporale, depressione, ritiro sociale, appiattimento affettivo, calo degli interessi, trascuratezza della persona, ansia…
fase intermedia: i disturbi di memoria e del linguaggio tendono ad aumentare con difficoltà anche nella comprensione. Il disorientamento è sia temporale che spaziale. Possono essere presenti deliri e allucinazioni e il malato necessita di qualcuno che lo controlli nello svolgimento delle attività quotidiane
fase avanzata: il malato perde completamente
la sua autonomia e necessita di assistenza anche per le attività più semplici.
Il deterioramento cognitivo risulta avanzato e si osserva in questa fase la
perdita del linguaggio. Viene inoltre perso il controllo degli sfinteri
fase terminale: è caratterizzata da apatia, inerzia, perdita totale delle funzioni cognitive. Il soggetto non riesce a camminare e ad alimentarsi. C’è una perdita di peso e gravi complicazioni fisiche come polmoniti e ulcere.
L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI PRECOCE
La diagnosi precoce della demenza può comportare notevoli vantaggi tra cui pianificare il proprio futuro, programmando le cure nel modificare lo stile di vita, di una migliore comprensione di sintomi e comportamenti, tutto ciò associato ad una forte integrazione con la rete e l’organizzazione dei sistemi sanitari.
Ancor prima della comparsa di sintomi evidenti, spesso si vive,
come abbiamo visto sopra, una fase di “predemenza” chiamata MCI (Mild Cognitive Impairment), durante la quale si possono osservare lievi sintomi di decadimento cognitivo che non devono necessariamente sfociare in Alzheimer in
una demenza ma riconoscere questa fase è fondamentale per:
- fugare ogni dubbio
- intervenire precocemente sulle strategie da attuare per migliorare la propria qualità di vita
- iniziare programmi di stimolazione cognitiva molto utili per rallentare l’evoluzione della malattia
- sostenere sia il paziente che il caregiver ad adattarsi a una nuova quotidianità con l’aiuto delle Associazioni presenti sul territorio
Di fronte alla comparsa di sintomi campanella è opportuno, dunque, rivolgersi subito al proprio medico di Famiglia che stabilirà l’opportunità o meno di eseguire ulteriori indagini mediante uno screening abbinato ad una valutazione neurologica o neuropsicologica con test che permetteranno di valutare il quadro cognitivo complessivo della persona evidenziando eventuali deficit di memoria, linguaggio, attenzione, funzioni visuo-spaziali, funzioni esecutive ecc.
Nel caso si dovessero evidenziare sintomi da approfondire e se il medico riterrà opportuno, si ricorrerà ad ulteriori indagini strumentali in grado di rilevare l’accumulo della proteina neurotossica beta amiloide quali:
- Risonanza magnetica
- Tomografia a emissione di positroni (PET) con fluoro deossiglucosio
- Tomografia a emissione di positroni (PET) con traccianti per l’amiloide
- Puntura lombare per misurare la presenza nel liquido cerebrospinale della beta amiloide e della proteina tau (un’altra proteina coinvolta nella patologia)
Riferimenti bibliografici
Lineamenti di Neuropsicologia, Carrocci Editore (2011)